1. Come già ampiamente ricordato in precedenti contributi pubblicati su questo sito, sulla base dei principi espressi dalla CGUE in merito all’interpretazione dell’art. 1, par. 2 della Direttiva 2008/112/CE (la “Direttiva”), la Corte di Cassazione ha ritenuto insussistente, nel caso delle addizionali provinciali all’accisa sull’energia elettrica, il fondamentale requisito delle “finalità specifiche” richiesto dalla Direttiva e, dunque, ha stabilito che l’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 è in contrasto con il diritto unionale e deve pertanto essere disapplicato. Secondo la Suprema Corte, pertanto, l’art. 6 cit.:
“indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al ricevuto principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa (Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170 e successive; C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Sez. U, 12 aprile 1996, n. 3458)”. (cfr. Cass. n. 22343/2020, e pluribus Cass. sent. nn. 22577/2012, 5381/2017, 13425/2019 16142/2020, 3233/2020, 10691/2020, Cass. ord. 14 febbraio 2022 n. 12142, conf. Cass. ord. 14 febbraio 2022 n. 12143) ([1]).
Tale necessaria disapplicazione determina inevitabilmente l’illegittimità:
a) a monte, del prelievo a carico del fornitore;
b) a valle, del diritto del fornitore di traslare l’addizionale in questione mediante l’esercizio del diritto di rivalsa di cui all’art. 16, comma 3 del T.U. Accise.
Sulla scorta di quanto sopra, la giurisprudenza di legittimità ha conseguentemente riconosciuto:
1) al fornitore, quale titolare della capacità contributiva e, quindi, soggetto passivo dell’accisa, il diritto al rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria entro due anni dalla data del pagamento ovvero, nel caso in cui egli abbia addebitato l’imposta al consumatore finale (ed abbia quindi esercitato il “diritto di rivalsa”), entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che attesta che il consumatore finale ha intentato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito innanzi al giudice civile;
2) al consumatore finale che abbia subìto la rivalsa di un’accisa:
2.1) il diritto di esercitare l’anzidetta azione civilistica di ripetizione d’indebito in sede civile nei confronti del fornitore;
2.2) solo in casi eccezionali, la possibilità di chiedere il rimborso del tributo direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, allorquando dimostri che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si rivela oltremodo gravosa ([2]).
Tale legittimazione straordinaria del consumatore è necessaria per rispettare il principio unionale di effettività il quale impone ad uno Stato di consentire al consumatore finale
“di rivolgere la propria domanda di rimborso direttamente allo Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 41, e del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 53) … qualora tale rimborso si rivelasse impossibile o eccessivamente difficile da ottenere rivolgendosi ai fornitori interessati” (CGUE, sentenza 11 aprile 2024, causa C-316/22).
2. Sulla scorta di quanto sopra, molte Corti di merito, sia di primo che di secondo grado, hanno ritenuto legittima l’azione di rimborso diretta del consumatore finale nei confronti dell’Amministrazione finanziaria in caso di assoggettamento del fornitore a procedure concorsuali quali il concordato preventivo e il fallimento (oggi liquidazione giudiziale). È stato, infatti, rilevato che, in tal caso, lo status soggettivo del fornitore “è di per sé sufficiente ad attestare l’impossibilità, sia giuridica che fattuale, a procedere a richiedere … le addizionali al fonditore” (Cgt di II grado della Lombardia 1175/5/2024; Cgt di I grado di Cuneo, 149/1/2024; Cgt di I grado di Cagliari, 307/1/2024; Cgt di II grado della Lombardia, 606/5/2024; Cgt di I grado di Modena, 430/3/2023).
Com’è noto, nei suddetti casi, sia secondo le previsioni della previgente legge fallimentare (R.D. n. 16 marzo 1942 n. 267), sia ai sensi di quanto disposto dal Codice della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019, di seguito anche “CCII”), presupposto per l’ammissione alla procedura è “lo stato di crisi” o “di insolvenza” per tali intendendosi rispettivamente:
a) “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”;
b) “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (cfr. art. 2 del CCII[3]).
Alla luce di ciò, si potrebbe ipotizzare l’esperibilità della suddetta azione straordinaria del consumatore– quantomeno su un piano astratto – anche nel caso in cui il fornitore abbia fatto ricorso agli strumenti di regolazione della crisi previsti dal CCII ([4]) quali, in particolare:
1) gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56 CCII). Considerato che il piano deve essere idoneo al risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, è implicito che questo sia realizzabile in presenza di uno stato di crisi e ovviamente di insolvenza ancorché reversibile;
2) gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII), i quali si basano anch’essi sul presupposto della crisi o dell’insolvenza ancorché reversibile;
3) i piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione, i cui presupposti di accesso avvicinano molto lo strumento al concordato preventivo.
Maggiori dubbi sorgono nel caso della composizione negoziata qualora la situazione di crisi non si sia ancora manifestata. Ai sensi dell’art. 12 CCII, infatti, il presupposto per l’accesso a tale strumento è lo “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che … rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Ciò che rileva ai fini dell’attivazione del percorso di composizione negoziata è, dunque, sia la probabilità di crisi che la probabilità di insolvenza e la possibilità di risanamento. La probabilità di crisi non può che riguardare la fase di pre-crisi o crisi interna, percepibile dal solo imprenditore. Quanto alla probabilità di insolvenza, appare evidente che il riferimento sia alla ricordata nozione di crisi di cui all’art. 2 cit.; si tratta, dunque, in questo caso di una crisi già in atto.
In tutte le predette ipotesi – a prescindere dal nomen iuris dello strumento di regolazione adottato – ciò che pare rilevare ai fini della possibilità per il consumatore di adire direttamente l’Amministrazione finanziaria è che il fornitore abbia subito uno squilibrio patrimoniale non meramente temporaneo (ancorché si tratti di crisi o insolvenza reversibile), tale cioè da rendere, nei fatti, quantomeno eccessivamente gravoso il recupero delle addizionali indebitamente versate. Circostanza quest’ultima che deve essere oggetto di specifica allegazione e dimostrazione da parte del contribuente.
Una tale interpretazione permetterebbe a ben vedere anche di alleviare la posizione già critica del fornitore, prima “vittima” dell’illecito eurounitario perpetrato dallo Stato. Non constano tuttavia orientamenti specifici sul punto.
3. Ad abundantiam, piace, infine, ricordare che con la citata pronuncia dell’11 aprile 2024, causa C-316/22, la CGUE si è altresì espressa nel senso di ritenere necessario il riconoscimento al consumatore dell’azione diretta nei confronti dello Stato anche nel caso in cui l’ordinamento nazionale, non permetta “ad un singolo di far valere l’illegittimità di un’imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui” in ragione dell’impossibilità di disapplicare la norma interna in contrasto con la normativa dell’unione “priva di effetto diretto”. Per tale ragione, in risposta alla seconda delle questioni poste dal giudice remittente, la Corte unionale ha affermato che viola il principio di effettività una disciplina nazionale che non
“permette ad un consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare che egli ha sopportato a causa della ripercussione, operata da un fornitore sulla base di una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che detto fornitore ha lui stesso indebitamente versato al suddetto Stato membro” (par. 37) ove “il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell’ambito di tale azione, in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati” (par. 38).
In altre parole, secondo la CGUE, ove il singolo sia rimasto gravato dalle addizionali indebitamente versate al fornitore “in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati”, il diritto interno deve riconoscergli la possibilità di agire direttamente nei confronti dello Stato. Tale passaggio della sentenza rende evidente come la finalità sottesa alle statuizioni della CGUE sia quella di avvantaggiare i consumatori gravati dalle addizionali in questione ove essi siano rimasti sprovvisti di tutela a causa del rigetto da parte del giudice nazionale delle loro pretese in forza dell’inefficacia orizzontale della Direttiva.
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[1] Tale giurisprudenza è stata ulteriormente confermata con il decreto n. 12502 del 10 maggio 2023 con cui la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il “rinvio pregiudiziale” disposto ex art. 363-bis c.p.c. dal Tribunale di Verona (con ord. del 4 aprile 2023) ricordando che: “nella giurisprudenza della Corte di cassazione, non manca l’enunciazione di principi idonei ad orientare la risoluzione della questione interpretativa posta dal rimettente. La Corte ha infatti affermato che, in tema di accise sul consumo di energia elettrica, le addizionali provinciali debbono rispondere ad una o più finalità specifiche previste dall’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, come interpretata dalla Corte di giustizia UE, dovendosi evitare che le imposizioni indirette, aggiuntive rispetto alle accise armonizzate, ostacolino indebitamente gli scambi, sicché va disapplicata, per contrasto con il diritto unionale, la disciplina interna di cui all’art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 511 del 1988, avente come finalità una mera esigenza di bilancio degli enti locali, con conseguente non debenza delle addizionali medesime (così Cass., Sez. V, 4 giugno 2019, n.15198; Cass., Sez. V, 23 ottobre 2019, n. 27101)”.
[2] Tra tutte si ricorda Cass. sent. n. 29980/2019 secondo cui: “le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2 è il fornitore; il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria”.
[3] Detto articolo riproduce il contenuto dell’art. 5 dell’abrogata legge fallimentare.
[4] Sul punto si ricorda che l’art. 9 della legge di delega per la riforma fiscale (n. 111/2023) comma 1, lett. a) n. 3) ha delegato il Governo ad “estendere a tutti gli istituti disciplinati dal codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al citato decreto legislativo n. 14 del 2019, l’applicazione delle disposizioni degli articoli 88, comma 4-ter, e 101, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dell’articolo 26, commi 3-bis, 5, 5-bis e 10-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e l’esclusione dalle responsabilità previste dall’articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e dall’articolo 2560 del codice civile”. Ciò a conferma della difficoltà di recuperare i crediti vantati nei confronti dei soggetti che hanno fatto accesso ai predetti istituti.