24/09/2024

Com’è noto, il legislatore ha istituito tramite l’art. 16 del D.L. Sud (D.L. n. 124/2023) un credito d’imposta per gli investimenti effettuati nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno c.d. “ZES Unica”. Trattasi di un credito temporaneo, volto ad agevolare le imprese che, in un dato arco temporale (ovverosia dal 1° gennaio al 15 novembre 2024), realizzino

investimenti, facenti parte di un progetto di investimento iniziale (…) relativi all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nel territorio, nonché all’acquisto di terreni e all’acquisizione, alla realizzazione ovvero all’ampliamento di immobili strumentali agli investimenti.

Con la presente Nota Redazionale s’intende analizzare una particolarità presente all’interno della disposizione dell’art. 16 cit., ovverosia l’esclusione di taluni soggetti dalla possibilità di beneficiare dell’incentivo. Si vedrà, inoltre, come tale norma possa prestare il fianco a possibili dubbi di natura interpretativa, quale su tutti l’incerta applicazione dell’agevolazione in parola ai costi sostenuti per realizzare impianti fotovoltaici.

Procedendo con ordine, si evidenzia come, per espressa previsione del legislatore (v. art. 16 co. 3 D.L. Sud e art. 2 co 2 D.M.), è esclusa la possibilità per i soggetti che operano nel settore “della produzione, dello stoccaggio, della trasmissione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche” di beneficiare del credito d’imposta “ZES Unica”.

Tale disposizione non pone particolari problemi da un punto di vista meramente soggettivo; è chiara, infatti, la scelta del legislatore di non contemplare nel novero dei soggetti ammessi al beneficio un particolare settore. Tuttavia, il discorso diventa meno semplice se si sposta l’attenzione sulla possibilità di considerare agevolati taluni investimenti che per loro natura sono inerenti all’attività energetica. Ad esempio, ci si potrebbe domandare se un investimento in impianti fotovoltaici effettuato da una qualsiasi impresa esuli dal perimetro applicativo della normativa ovvero, al contrario, sia da considerare idoneo a integrare i requisiti previsti.

La risposta, apparentemente semplice, si presta in realtà a non facili soluzioni e richiede una puntuale disamina del caso concreto.

Come prima ipotesi, si pensi al caso in cui una società – non rientrante nel settore escluso dall’art. 16 cit. – intenda investire in un impianto fotovoltaico.

In una situazione del genere si è maggiormente orientati a ritenere che il costo sostenuto sia a tutti gli effetti agevolabile. Ciò in quanto la norma prevede una mera esclusione di una particolare tipologia di soggetti (i.e. che operano in un dato settore) e per questo si arresta ad un ambito meramente soggettivo, senza intaccare l’ambito oggettivo dell’investimento effettuato. In altre parole, investire nel fotovoltaico non è condizione di per sé idonea a comportare una modifica del codice ATECO dell’impresa, la quale rimane dunque soggettivamente legittimata al credito d’imposta.

Sotto altro punto di vista, inoltre, l’impianto fotovoltaico consentirebbe alla società di autoprodurre l’energia elettrica che, successivamente, sarà dalla stessa consumata. Se si ragiona in quest’ottica, il costo sostenuto dalla società risulterebbe essere strumentale al funzionamento degli impianti agevolati dalla disciplina e pertanto pienamente ammissibile. Di conseguenza, laddove il contribuente non dovesse mutare la propria attività sociale e intendesse investire in impianti fotovoltaici al fine di autoconsumare l’energia prodotta, non si vedono ragioni per escludere la spettanza del credito.

Diverso, invece, sembrerebbe essere il caso di una società che, pur non rientrando nel settore della produzione, dello stoccaggio, della trasmissione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche, intenda investire nel fotovoltaico al precipuo scopo di ricavare un profitto dalla cessione dell’energia prodotta.

In quest’ottica, si potrebbero delineare due soluzioni differenti, a seconda della prevalenza o meno dell’attività di cessione dell’energia autoprodotta.

Nella prima ipotesi, allora, assumendo di essere in presenza di attività prevalentemente orientata alla cessione dell’energia prodotta, il codice ATECO della società finirebbe per essere coincidente con quello previsto dall’art. 16 cit., con l’inevitabile conseguenza di ricadere in pieno nei limiti imposti della clausola di esclusione soggettiva prevista dal legislatore.

D’altro lato, invece, appare dubbia la soluzione per quelle imprese che intendano investire nel fotovoltaico per poi cedere l’energia prodotta, senza che ciò comporti la prevalenza di tale attività sulle altre. Ciò in quanto, se è vero che l’attività sociale non è destinata a mutare, rimanendo quindi fuori dalla limitazione prevista dal legislatore, non è priva di fondamento l’osservazione per cui l’investimento de qua risulterebbe comunque non essere strumentale – a differenza del caso in cui sia l’energia sia destinata all’autoconsumo – all’investimento globale che la società ha effettuato.

In conclusione, la soluzione al quesito non è univoca e ben potrebbe cambiare a seconda del caso concreto. Pertanto, si è concordi con quanto correttamente auspicato da Assonime nella Circolare n. 13 del 10 luglio 2024 secondo cui un caso come quello poc’anzi descritto necessiterebbe un intervento da parte dell’Amministrazione finanziaria che sia idoneo a superare le suesposte criticità.

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