Con la sentenza n. 37248/2024, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità del reato di indebita percezione di erogazione pubbliche ex art. 316-ter c.p., nel caso in cui il contribuente ometta di fornire le informazioni dovute per ottenere il beneficio fiscale del “sismabonus”.
La sentenza, pur resa nel giudizio cautelare, appare di particolare interesse, nella parte in cui chiarisce quali siano i presupposti necessari per fruire dell’agevolazione fiscale in esame e, conseguentemente, quali siano le informazioni che il beneficiario è tenuto a fornire per poter essere esente da responsabilità penale.
Andando con ordine, il G.i.p. del Tribunale di S. Maria Capua di Vetere emetteva un decreto di sequestro preventivo nei confronti di alcune società che avevano usufruito del sismabonus. Tale misura cautelare veniva disposta, da un lato, con riferimento al reato di cui all’art. 10-quater del D.lgs. n. 74/2000, dall’altro, con riferimento al reato di cui all’art. 640-bis del codice penale.
La condotta contestata afferiva all’utilizzazione di crediti fiscali previsti dall’art. 16, comma 1-septies del D.L. n. 63/2013. Secondo l’ordinanza del G.i.p., infatti, il credito d’imposta maturato dalla società sarebbe stato il frutto di una serie di false attestazioni concernenti la demolizione dei fabbricati e la successiva ricostruzione con caratteristiche tali da assicurare un livello antisismico superiore. Dalle indagini, infatti, emergeva che gli immobili erano stati demoliti in data antecedente rispetto all’introduzione del credito d’imposta, nonché mai ricostruiti.
A fronte di ciò, il Tribunale, in sede di riesame, aveva respinto le doglianze sollevate dai ricorrenti e per l’effetto confermava la decisione del G.i.p; l’unica modifica effettuata dal Tribunale riguardava il capo di imputazione che dal reato di cui all’art. 640-bis veniva riqualificato nella fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter c.p. Tale articolo punisce:
“chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Le società ricorrevano dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione lamentando, tra i vari motivi, l’insussistenza del fumus commissi delicti in relazione proprio al reato di cui all’art. 316-ter. In particolare, la tesi difensiva sosteneva che la condotta posta in essere non integrasse il reato contestato siccome: a) avente ad oggetto un credito fruito nel pieno rispetto dei presupposti normativi; b) le dichiarazioni e le attestazioni rese nel procedimento amministrativo ai fini della fruizione del credito fossero da considerarsi al più come incomplete e giammai false, con conseguente irrilevanza sul piano penalistico.
La Suprema Corte di Cassazione, nel risolvere la questione giuridica controversa, analizza dapprima il dato normativo dell’art. 316-ter c.p., sottolineando che il fatto di reato si realizza anche nel caso in cui il contribuente non fornisca le informazioni dovute, qualora l’omissione sia fondamentale per ottenere l’indebito vantaggio economico. In altre parole, fornire una documentazione falsa ovvero omettere di fornire informazioni che precluderebbero il beneficio costituiscono due facce della stessa medaglia: in entrambi i casi sussiste il fatto di reato ex art. 316-ter c.p.
Nel caso del sismabonus, in particolare, gli obblighi di informazione e la documentazione necessaria per ottenere il credito si rinvengono negli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020 e nell’art. 16, comma 1-septies del D.L. n. 66/2013.
Dal contenuto delle disposizioni normative richiamate gli Ermellini traggono la conclusione per cui i presupposti necessari per poter fruire del credito d’imposta sono:
“a) la realizzazione della demolizione e della ricostruzione dell’immobile o degli immobili nell’ambito di un intervento unitariamente coordinato alla riduzione del rischio sismico; b) l’avvenuta esecuzione di lavori documentati in uno stato avanzamento”.
A fronte di ciò, pertanto, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche potrebbe sussistere, nel caso di credito sismabonus, laddove gli anzidetti presupposti si realizzino per il tramite: a) dell’impiego di documentazione mendace; b) dell’omissione di informazioni che avrebbero determinato l’impossibilità di ottenere il beneficio.
Nel caso delle ricorrenti, i modelli di comunicazione trasmessi indicavano: l’acquisto di unità immobiliari antisismiche in zone a rischio sismico, l’opzione per lo sconto in fattura e le particelle catastali nonché il numero degli immobili oggetto dell’intervento edilizio.
Già sotto questo profilo, la Suprema Corte, considerando il fatto che
“a) la demolizione era avvenuta in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge istitutiva del credito fiscale; b) i lavori non erano stati ancora eseguiti e le (…) unità immobiliari costituivano un mero dato progettuale”, ha concluso per la mendacità della documentazione necessaria prevista dalla normativa (asseverazione, visto di conformità e attestazioni).
Non solo, secondo i giudici di piazza Cavour, i medesimi indicatori della mendacità della documentazione risultano idonei, invero, a configurare il reato anche sotto il profilo dell’omissione di informazioni. Secondo il ragionamento degli Ermellini, infatti, se il soggetto avesse reso noto dette informazioni si sarebbe precluso la possibilità di beneficiare del credito d’imposta.
In sostanza, non fornire l’informazione per cui gli immobili siano già stati demoliti e non vi sia stata alcuna nuova costruzione comporta la configurabilità del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche tanto perché rende palese la non veridicità della documentazione fornita quanto perché rende l’informativa “dovuta” incompleta.