1. Il nuovo regime di imponibilità delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di immobili che abbiano beneficiato – a vario titolo – di interventi agevolabili con il Superbonus di cui all’art. 119 del decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020), conclusi da non più di dieci anni, continua a destare non poche perplessità anche a seguito dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la Circolare n. 13/E del 13 giugno scorso. Ed infatti, se da un lato l’Amministrazione ha chiarito alcuni dubbi interpretativi sollevati dagli operatori[1], dall’altro restano ancora “aperte” una serie di questioni interpretative – tutt’altro che marginali – che rendono la nuova fattispecie foriera di dubbi interpretativi ed applicativi.
2. Come è noto, la disciplina delle plusvalenze in discorso è stata introdotta dalla legge di bilancio per il 2024 (in particolare, dall’art. 1, commi 64-67 della legge n. 213/2023) che, modificando gli articoli 67 e 68 del TUIR (d.p.r. n. 917/1986), ha previsto una nuova ipotesi di plusvalenza imponibile e ne ha disciplinato le peculiari modalità di calcolo.
Tali novità sono state dettate dal chiaro intento di recuperare “indirettamente” a tassazione i benefici fruiti con il Superbonus dai soggetti cedenti che abbiano effettuato tali interventi con finalità essenzialmente speculative.
In dettaglio, tali disposizioni hanno introdotto nell’art. 67, cit., la nuova lettera b-bis)[2], che prevede l’assoggettamento ad imposizione, quali redditi diversi, delle plusvalenze
“realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, in relazione ai quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito gli interventi agevolati di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che si siano conclusi da non più di dieci anni all’atto della cessione, esclusi gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo”.
Ai fini dell’individuazione delle modalità di calcolo della plusvalenza, è stato altresì modificato l’art. 68, co. 1 TUIR, il quale ora prevede che:
“Le plusvalenze di cui alle lettere a), b) e b-bis) del comma 1 dell’articolo 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Per gli immobili di cui alle lettere b) e b-bis) del comma 1 dell’articolo 67 acquisiti per donazione si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante. Per gli immobili di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 67, ai fini della determinazione dei costi inerenti al bene, nel caso in cui gli interventi agevolati ai sensi dell’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, si siano conclusi da non piu’ di cinque anni all’atto della cessione, non si tiene conto delle spese relative a tali interventi, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto-legge n. 34 del 2020. Nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi da piu’ di cinque anni all’atto della cessione, nella determinazione dei costi inerenti al bene si tiene conto del 50 per cento di tali spese, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui al periodo precedente. Per i medesimi immobili di cui alla lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 67, acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre cinque anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, determinato ai sensi dei periodi precedenti, e’ rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.”
La plusvalenza così determinata può essere assoggettata ad imposizione in via ordinaria (mediante indicazione all’interno della dichiarazione dei redditi e conseguente concorrenza alla formazione del reddito complessivo) ovvero, in via opzionale, mediante applicazione di un’imposta sostitutiva nella misura del 26%[3] a seguito di apposita richiesta formulata al notaio in sede di vendita, il quale dovrà applicare e versare l’imposta ricevendo la provvista dal cedente.
Le nuove disposizioni, stante il loro inserimento all’interno dell’art. 67 TUIR, riguardano non solo le persone fisiche che operino al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa ma, altresì, le società semplici e gli enti non commerciali (a condizione che la cessione sia effettuata al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa) e i trust, e trovano applicazione – per espressa previsione normativa – con riferimento alle cessioni poste in essere a partire dal 1° gennaio 2024 (quindi, a prescindere dal momento in cui siano stati ultimati gli interventi agevolati, purché, naturalmente, i lavori non siano conclusi da più di dieci anni al momento della cessione).
3. Come si evince dal dato letterale della disposizione, ai fini dell’imponibilità della plusvalenza in discorso sono richiesti i seguenti requisiti:
a) deve trattarsi di una cessione a titolo oneroso (per tale intendendosi non solo la vendita ma, altresì, la permuta, il conferimento in società e la datio in solutum)[4];
b) la cessione deve avere ad oggetto un bene immobile in relazione al quale siano stati realizzati, dal cedente stesso o da altri soggetti “aventi diritto”, interventi Superbonus di cui all’art. 119 del d.l. n. 34/2020;
c) tali interventi risultino conclusi da non più di dieci anni alla data della cessione.
Restano esclusi gli immobili che siano stati acquisiti per successione dal cedente e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione, ovvero per la maggior parte del periodo intercorrente tra la data di acquisto o di costruzione e la data della cessione (se inferiore a dieci anni).
4. Nel documento di prassi in commento, l’Agenzia delle Entrate ha peraltro chiarito che la plusvalenza risulta imponibile in capo al cedente a prescindere dalla circostanza che gli interventi agevolati siano stati realizzati da quest’ultimo (e, dunque, che questi ne abbia effettivamente beneficiato)[5] e dalla circostanza che l’agevolazione sia stata fruita nella misura “piena” (ossia, in misura pari al 110% delle spese sostenute) ovvero ridotta (i.e. 90%-70%-65%), non rilevando a tal fine l’effettivo utilizzo in dichiarazione sotto forma di detrazione ovvero l’esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito di cui all’art. 121, d.l. n. 34/2020. Di conseguenza, ad avviso dell’Agenzia, affinché emerga una plusvalenza imponibile (salve le esclusioni espressamente previste) è sufficiente, sotto il profilo oggettivo, che l’unità immobiliare sia stata interessata (direttamente o indirettamente, come si vedrà subito oltre) dagli interventi di cui all’art. 119, cit., in una qualsiasi delle aliquote agevolative e delle modalità di fruizione previste.
Inoltre, offrendo un’interpretazione della disposizione che appare in radicale contrasto con la ratio della norma[6], l’Amministrazione ha precisato che, ai fini dell’emersione della plusvalenza, non è neppure richiesto che l’unità immobiliare sia stata direttamente interessata da interventi cc.dd. trainati, essendo, per contro, sufficiente che l’edificio in cui la stessa risulta ubicata sia stato oggetto di interventi c.d. trainanti eseguiti sulle parti comuni del fabbricato. Tale soluzione desta tuttavia non pochi dubbi, se solo si considera che, nel caso in cui il fabbricato sia stato oggetto di interventi trainanti, il cedente ben potrebbe non aver beneficiato (neppure indirettamente) dell’agevolazione de qua (ad esempio, perché incapiente o moroso nei confronti del condominio) e potrebbe non aver neppure preso parte alla delibera assembleare con cui sono stati approvati i lavori, ovvero potrebbe essere stato addirittura escluso dal riparto delle relative spese[7].
Oltretutto, come correttamente osservato dai primi commentatori, tale conclusione genera l’(indesiderabile) effetto di assoggettare a tassazione anche le plusvalenze realizzate per effetto della cessione di immobili diversi da quelli residenziali, tra cui le pertinenze di unità abitative e gli immobili strumentali situati in edifici condominiali a destinazione c.d. mista[8].
A tale ultimo proposito, si osserva, ad ogni modo, che la stessa disposizione di legge prevede che la plusvalenza risulti imponibile in capo al cedente anche qualora egli non abbia effettivamente beneficiato dell’agevolazione, in quanto le relative spese siano state sostenute dagli “altri aventi diritto” (quali, a mero titolo esemplificativo, il familiare convivente, il locatario, il titolare di un diritto reale, ecc.). Sembra quindi che il legislatore abbia inteso assoggettare tout court ad imposizione il plusvalore latente per effetto degli interventi agevolati, a prescindere dall’effettiva fruizione dell’agevolazione da parte del cedente e dal suo intento “speculativo”, con possibili ricadute in termini di rispetto del principio di capacità contributiva.
Un ulteriore chiarimento degno di nota riguarda, poi, la nozione di “cessione a titolo oneroso”. Infatti, nella circolare n. 13/E, l’Amministrazione ha chiarito che rileva unicamente la prima cessione a titolo oneroso intervenuta nel decennio che intercorre tra la fine dei lavori[9] e la data della cessione. Di conseguenza, non rilevano tanto le cessioni intervenute quando i lavori sono ancora in corso di esecuzione, quanto le cessioni successive alla prima poste in essere dal cessionario prima dello spirare del termine decennale.
5. Per quanto attiene al calcolo della plusvalenza, la circolare n. 13/E ha poi evidenziato che, analogamente a quanto previsto per le plusvalenze di cui alla lettera b) dell’art. 67 TUIR, anche le plusvalenze in discorso originano dalla differenza tra il corrispettivo percepito nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo; allo stesso modo, in caso di cessione di immobili acquisiti per donazione, si assume come prezzo di acquisto il costo sostenuto dal donante. Con riferimento a tale ultima ipotesi non è chiaro, peraltro, se il presupposto impositivo sia rappresentato dagli interventi agevolati effettuati dal donante ovvero dal donatario, o da entrambi. Sembra tuttavia ragionevole ritenere che, poiché la norma equipara sostanzialmente il donatario al donante (considerando quale prezzo di acquisto, ai fini della tassazione in capo al donatario-cedente, quello sostenuto dal donante medesimo), ai fini della plusvalenza rilevino anche i lavori effettuati dal donante. Sul punto, in mancanza di espliciti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, si auspica tuttavia un chiarimento ufficiale, anche al fine di individuare correttamente i criteri di calcolo delle spese inerenti al bene.
Invece, in caso di acquisto per usucapione, l’Amministrazione (cfr. la risposta ad interpello n. 157/2024) ha chiarito che il costo di acquisto deve essere determinato sulla base del valore venale del bene alla data del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell’usucapione[10].
Ai fini del calcolo dei “costi inerenti al bene”, l’Agenzia, ripercorrendo le previsioni del novellato art. 689 TUIR, ha osservato che le spese sostenute per l’esecuzione degli interventi agevolati (siano esse riferibili al cedente ovvero agli altri aventi diritto) non possono essere computate ad incremento del prezzo di acquisto dell’immobile se sussistono, congiuntamente, le seguenti condizioni:
- l’esecuzione dell’intervento agevolato ha comportato la fruizione del Superbonus nella misura del 110%;
- siano state esercitate le opzioni di cui all’art. 121 del d.l. Rilancio (sconto in fattura o cessione del credito).
Muovendo dal tenore letterale della norma, nonché dai lavori preparatori alla legge di bilancio, l’A.F. ha quindi precisato che nel caso di fruizione dell’agevolazione in misura diversa dal 110%, le relative spese potranno essere computate ad incremento del valore di acquisto o costruzione[11], non trovando applicazione la limitazione in parola. Allo stesso modo, nell’ipotesi di fruizione dell’agevolazione in parte in misura pari al 110% delle spese sostenute ed in parte in misura inferiore, le spese sostenute beneficiando di un’aliquota ridotta ben potranno concorrere al calcolo della plusvalenza, restando escluse unicamente quelle che hanno dato luogo all’incentivo in misura piena[12].
Il calcolo di tale valore, come espressamente si evince dall’art. 68, opera però diversamente a seconda che tra la conclusione degli interventi agevolati e la cessione siano intercorsi (o meno) più di cinque anni. In tale ultimo caso, infatti, le spese sostenute per gli interventi agevolati – anche se attribuiscono il diritto di fruire del Superbonus 110% e anche nel caso di esercizio delle opzioni di cui all’art. 121 – sono riconosciute a incremento del costo di acquisto o di costruzione in misura pari al 50% del loro ammontare.
Sempre con riferimento alla determinazione del valore della plusvalenza, il documento di prassi in commento non si è tuttavia pronunciato su due questioni rilevanti, già evidenziate dal Notariato all’interno dello Studio n. 156-2024, cit.. Si tratta, anzitutto, delle modalità di calcolo della plusvalenza in caso di acquisto di immobili mediante fruizione del c.d. Supersismabonus acquisti di cui all’art. 16, co. 1-septies del d.l. n. 63/2013[13], nonché della necessità di computare gli oneri finanziari addebitati al contribuente dal fornitore/cessionario per lo sconto in fattura o la cessione del credito. Tali costi, infatti, pur non essendo agevolabili ai fini del Superbonus, rappresentano a ben vedere voci di costo che rimangono definitivamente a carico del contribuente e che sono funzionali alla fruizione dell’agevolazione mediante esercizio delle opzioni. In proposito si auspica dunque un ulteriore intervento chiarificatore.
6. Come anticipato, le norme in commento prevedono due ipotesi di esclusione, le quali impediscono ab origine l’emersione della plusvalenza. La prima, con riferimento alla quale non sorgono particolari dubbi interpretativi, riguarda gli immobili che, per la maggior parte dei dieci anni intercorrenti tra la conclusione dei lavori e la data della cessione (ovvero per la maggior parte di tale periodo, se inferiore a dieci anni), siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
La seconda ipotesi riguarda, invece, gli immobili acquisiti per successione. Tale fattispecie risulta ad oggi poco chiara, in quanto non si comprende se l’esclusione riguardi in modo assoluto tutte le ipotesi in cui l’immobile oggetto di intervento sia pervenuto al cedente per successione ereditaria (e quindi, se risultino escluse anche le cessioni realizzate a seguito dell’esecuzione dei lavori agevolati da parte dell’erede) ovvero le sole ipotesi in cui i lavori Superbonus siano stati effettuati dal de cuius e l’immobile sia pervenuto all’erede in un momento successivo alla loro ultimazione. Inoltre, ci si interroga sulla corretta determinazione della plusvalenza nel caso in cui l’immobile ceduto sia pervenuto al cedente per successione solo pro quota (ad esempio perché trattasi di immobile in comunione dei beni con il coniuge, poi deceduto). Con riferimento a tale ultimo interrogativo, si segnala peraltro la recente risposta ad interpello n. 208 del 23 ottobre 2024, con cui l’AdE ha chiarito che l’esclusione opera solo con riferimento alla quota dell’immobile pervenuta in via ereditaria, con conseguente necessità di ridurre proporzionalmente l’eventuale plusvalenza che dovesse emergere dalla vendita.
7. In conclusione, benché negli ultimi mesi l’Agenzia abbia elaborato diversi documenti di prassi volti a definire meglio il perimetro applicativo della nuova fattispecie impositiva, permangono, ad oggi, una serie di dubbi interpretativi suscettibili di generare ricadute tutt’altro che marginali in sede applicativa.
Pertanto, si auspica che l’Amministrazione finanziaria intervenga quanto prima al fine di sciogliere tali ulteriori questioni ermeneutiche, possibilmente tenendo conto anche delle perplessità espresse dalla dottrina e dallo stesso Notariato, al fine di evitare possibili distorsioni nell’attuazione delle nuove disposizioni.
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[1] Si veda, in particolare, lo Studio n. 15-2024/T del Consiglio Nazionale del Notariato (est. Raponi), nonché D. Liburdi-M. Sironi, Nuova ipotesi di plusvalenze IRPEF derivanti dalla cessione di immobili che hanno beneficiato del Superbonus, Il Fisco, 6/2024, p.524 e ss; id., Superbonus: serve un legame diretto tra beneficio fruito e contribuente per individuare le fattispecie plusvalenti?, Il Fisco, 18/2024, p. 1679 e ss.; G. Gavelli, incognita plusvalenze sui lavori condominiali, Il Sole-24 Ore del 23 dicembre 2023, p. 5; M. Arigliani, Le plusvalenze immobiliari: “Superbonus” 2024, Notariato, 2/2024, p. 202 e ss..
[2] Le cui disposizioni, per espressa previsione normativa, prevalgono su quelle della precedente lettera b) (che prevede la tassazione “generale” delle plusvalenze derivanti dalla cessione infraquinquennale a titolo oneroso di beni immbili).
[3] Ai sensi dell’art. 1, co. 496 della l. n. 266/2005.
[4] Tali conclusioni erano state già anticipate dal CNN nello studio n. 15-2024/T, cit., e sono state confermate dalla circolare n. 13/E/2024. Come chiarito nella risposta ad interpello n. 156/2024, invece, non rileva la vendita a rate con riserva di proprietà se il pagamento dell’ultima rata (momento in cui si verifica l’effetto traslativo della proprietà) avviene quando siano trascorsi più di dieci anni dall’ultimazione dei lavori agevolati. La stessa Agenzia, nel documento di prassi da ultimo citato, ha tuttavia sottolineato che l’atto potrebbe essere riqualificato dall’Amministrazione in vendita a rate con pagamento dilazionato del prezzo, nel qual caso il momento impositivo coinciderebbe, invece, con la stipula del contratto.
[5] La soluzione offerta dall’Agenzia non chiarisce oltretutto se e come le spese sostenute da un soggetto diverso rispetto al cedente per la realizzazione degli interventi agevolati possano essere computate ai fini della determinazione della plusvalenza ai sensi del successivo art. 68, su cui v. infra.
[6] Si vedano, in proposito, le osservazioni formulate dal Consiglio Nazionale del Notariato nello Studio n. 15/20245, cit., nonché, da ultimo, nello Studio n. 90-2024/T, pubblicato il 1° luglio 2024; in senso critico, si veda anche G. Gavelli-F. Giommi, L’Agenzia chiarisce solo in parte il regime delle plusvalenze da cessione di immobili agevolati con il Superbonus, Il Fisco, 285/2024, p. 2629 e ss..
[7] Circostanza che potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui il cedente sia stato escluso dal piano di riparto con conseguente accollo della relativa quota di spese (e di detrazione) da parte di altri condòmini, sulla scorta di criteri di riparto alternativi a quelli legali previsti ai sensi dell’art. 1123 c.c.
[8] Ossia, composti in parte da unità residenziali e in parte da unità non residenziali/commerciali, i quali, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate, possono beneficiare del Superbonus qualora la percentuale di immobili a destinazione residenziale sia superiore al 50% della superficie totale dell’edificio (cfr. circ. 24/E/2020).
[9] La quale, come precisato dalla stessa A.F., deve essere comprovata dalle abilitazioni amministrative o dalle comunicazioni richieste dalla normativa urbanistica e dai regolamenti edilizi vigenti.
[10] L’A.F. è pervenuta a tale soluzione applicando analogicamente le conclusioni raggiunte nella risoluzione n. 78/2003 con riferimento ai terreni edificabili. Si evidenzia, tuttavia, che nella medesima risoluzione l’Agenzia aveva espressamente affermato che nel caso di rivendita di fabbricati, la cessione non è riconducibile all’art. 67 (già art. 81 TUIR) in quanto l’acquisto avviene a titolo originario e non mediante un atto traslativo di carattere oneroso.
[11] Si veda la Relazione Illustrativa al d.d.l. di bilancio (A.S. n. 926, p. 89), nonché la relazione tecnica (pag. 217), secondo cui “per effetto delle disposizioni introdotte agli articoli 67 e 68 del Tuir vengono ampliate le fattispecie che possono dar luogo a plusvalenze imponibili derivanti dalla cessione di immobili oggetto di interventi che danno diritto al Superbonus e viene potenzialmente incrementata la base di calcolo delle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili oggetto di interventi da Superbonus nella misura del 110 per cento per i quali il beneficiario abbia esercitato le opzioni di cessione del credito o sconto in fattura”
[12] Sul punto, cfr. peraltro la risposta ad interpello n. 204/2021, oggetto di un precedente contributo su questo sito, con cui l’Agenzia aveva invece chiarito che le spese relative al Superbonus rientrano tra le spese incrementative, trattandosi di spese che non attengono alla normale gestione del bene e che ne hanno determinato un aumento di valore perdurante al momento della cessione
[13] Al riguardo, il Consiglio Nazionale del Notariato, nello studio n. 15-2024/T, ha prospettato due possibili soluzioni interpretative:
1) secondo una prima impostazione, la plusvalenza dovrebbe essere calcolata decurtando l’ammontare del corrispettivo non versato all’impresa di costruzioni in quanto, appunto, “scontato” o ceduto per effetto dell’agevolazione (almeno per i primi 5 anni);
2) secondo una diversa tesi, invece, la plusvalenza corrisponderebbe al differenziale tra prezzo di vendita e costo di acquisto dell’immobile senza alcuna decurtazione, in quanto il sismabonus acquisti rappresenterebbe una peculiare modalità di pagamento del prezzo e non un costo.