Il sequestro finalizzato alla confisca e il sequestro “impeditivo” nelle frodi fiscali legate al c.d. superbonus edilizio
Corte di Cassazione, sez. II penale, sent. n. 38161/2024
Abstract: Con sentenza n. 38161 del 17 ottobre 2024, la Corte di Cassazione Penale, Sezione II, si è nuovamente occupata del complesso tema delle frodi fiscali connesse al superbonus edilizio. In particolare, la Corte si è pronunciata sui presupposti che legittimano il sequestro sia preventivo finalizzato alla confisca che quello c.d. impeditivo, cioè funzionale ad evitare il reiterarsi del reato o la “sparizione” del profitto.
La materia delle frodi fiscali connesse all’abuso delle agevolazioni fiscali previste dal D.L. n. 34/2020 c.d. Superbonus, è stata oggetto nel recente passato di diverse contestazioni penali dalle quali sono scaturite le conseguenti richieste di applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo. Con la sentenza n. 38161/2024 in commento, la Corte di Cassazione ha fornito ulteriori chiarimenti circa i presupposti che ne legittimano l’applicazione.
Prima di analizzare le conclusioni raggiunte dalla Corte nella pronuncia in commento, è opportuno effettuare qualche breve cenno in ordine al contesto fattuale in cui si è sorta la questione.
Il caso
Il caso affrontato dai giudici di legittimità con la sentenza in commento riguarda l’esecuzione di un sequestro finalizzato alla confisca e di uno preventivo “impeditivo” ai danni di alcune società nei confronti delle quali si procedeva per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, indebita compensazione, falso ed illecito reimpiego; reati consumati attraverso l’abuso delle agevolazioni fiscali previste dal c.d. superbonus edilizio.
Inizialmente, il giudice delle indagini preliminari aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare reale. Decidendo sull’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del G.I.P., il Tribunale per le misure cautelari accoglieva invece l’impugnazione e disponeva il vincolo del sequestro preventivo “impeditivo” finalizzato a evitare la protrazione del reato, respingendo invece l’appello relativo al sequestro preventivo ai fini di confisca.
Le Società hanno presentato ricorso per Cassazione avverso tale ordinanza lamentando la mancata sussistenza dei presupposti che legittimano l’applicazione del sequestro preventivo “impeditivo”. Secondo la tesi difensiva, infatti, il sequestro era illegittimo perché non era stata dimostrata la funzionalità dell’attività di falsa fatturazione all’evasione e che, pertanto, mancava il presupposto del fumus commissi delicti.
Cenni normativi e giurisprudenziali
L’art. 321 c.p.p. – come noto – attribuisce al giudice il potere di adottare, nelle more del procedimento penale, la misura cautelare reale del sequestro preventivo con il quale si appone un vincolo di indisponibilità su una determinata cosa. La sua specifica finalità, nell presupposto dell’esistenza dei requisiti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, è di prevenire il rischio che le cose pertinenti al reato, se liberamente disponibili, ne aggravino le conseguenze o agevolino ulteriori comportamenti criminali (cosiddetto sequestro impeditivo). Il medesimo sequestro può essere inoltre disposto per i beni confiscabili.
Ed infatti, il primo comma dell’art. 321 c.p.p. disciplina il sequestro “impeditivo”, volto ad evitare il rischio che la permanenza di una cosa pertinente al reato nella disponibilità del soggetto possa aggravarne o protrarne le conseguenze, ovvero agevolare la commissione di ulteriori illeciti penali.
Il secondo comma dell’art. 321 c.p.p. prevede, invece, il sequestro finalizzato alla confisca, della quale è possibile, così, garantire l’efficacia, anticipando il vincolo di indisponibilità sul bene già ad una fase anteriore alla condanna.
Secondo la tesi interpretativa tradizionalmente accolta, il decreto di sequestro impeditivo, di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p., deve necessariamente precisare le ragioni per le quali il permanere di un rapporto di prossimità tra l’indagato e la res potrebbe incoraggiare la prosecuzione o la reiterazione dell’attività criminosa e cioè deve esistere una relazione stabile tra la cosa sottoposta a sequestro e l’attività illecita[1] (Cass. pen., Sez. V, 16/12/2009; Cass. pen., Sez. III, 2/10/2007; Cass. pen., Sez. II, 4/3/2005; Cass. pen., Sez. V, 13/11/2003; Cass. pen., Sez. III, 12/7/2002, C.; Cass. pen., Sez. III, 2/2/2001). Significato centrale, dunque, assume il concetto di pertinenza della cosa al reato nella delimitazione dell’ambito di applicabilità del sequestro preventivo impeditivo, pertinenza che può essere anche indiretta sempre che la libera disponibilità possa dare luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze di detto reato ovvero all’agevolazione nella commissione di altri reati (ex multis Cass. pen., Sez. V, 16/12/2009). Ciò posto, è comunque necessario che si tratti di un legame funzionale non meramente occasionale, sebbene inteso in senso ampio, tale cioè da ricomprendere ogni tipo di reciproca utilità, conseguenza o causalità. (Cass. pen., Sez. II, 4/3/2005; Cass. pen., Sez. V, 13/11/2003; Cass. pen., Sez. VI, 10/2/1998) [2].
Per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, invece, il giudice cautelare potrebbe limitarsi ad attestare la confiscabilità del bene, destinatario del vincolo, sul presupposto che la cosa deve, per ciò stesso, considerarsi pericolosa, senza alcuna prognosi ulteriore. Al contrario, secondo una diversa opzione esegetica, l’esigenza di scongiurare ingiustificate compressioni del diritto di proprietà e della libertà di iniziativa economica, imporrebbe al giudice l’onere di precisare, anche nell’ipotesi contemplata dall’art. 321, comma 2, c.p.p., i profili di pericolosità sussistenti nel caso concreto. Le Sezioni Unite con sent. n. 36959 del 24 giugno 2021 (dep. 11 ottobre 2021), nel dirimere il contrasto interpretativo, hanno confermato la necessità che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca indichi la motivazione, seppur concisa, del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che giustificano l’anticipazione degli effetti ablativi prima della definizione del giudizio. Nonostante l’intervento delle sezioni unite nel 2021, permane in giurisprudenza la tendenza a un ampliamento dell’utilizzo del sequestro preventivo come strumento propedeutico alla confisca, fenomeno quest’ultimo che rischia di trasformarsi in una sanzione anticipata in palese violazione del principio di presunzione di innocenza.
I Principi enucleati dalla Corte
Non accogliendo la tesi difensiva secondo cui non era stata dimostrata la funzionalità dell’attività di falsa fatturazione all’evasione, la pronuncia della Cassazione in commento si caratterizza per la chiarezza con cui riafferma alcuni principi giuridici chiave.
La Corte sottolinea che, ai sensi dell’art. 321, comma 1, c.p.p., il sequestro preventivo non richiede la dimostrazione di un collegamento strutturale diretto tra il bene sequestrato e il reato. È sufficiente dimostrare che il bene sia utilizzato in modo durevole e funzionale alla perpetrazione dell’illecito.
Secondo i giudici di legittimità infatti “con riguardo alle condizioni che legittimano il sequestro cautelare previsto dall’art. 321, comma 1 cod. proc. pen., il collegio riafferma che ai fini dell’adozione della misura cautelare del sequestro preventivo delle cose “pertinenti al reato”, finalizzato ad evitare la protrazione del reato, non è necessario accertare, a differenza di quanto richiesto per il sequestro ai fini di confisca, l’esistenza di un “collegamento strutturale” fra il bene da sequestrare e il reato commesso, in quanto la “pertinenza” richiesta dal primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Sez. 3, n. 9149 del 17/11/2015, dep. 2016, Plaka, Rv. 266454 – 01; Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Lo Modou Bineta, Rv. 276660).”
Quanto alla identificazione del fumus, gli Ermellini ricordano che, in sede cautelare, non si richiede la stessa verifica probatoria necessaria per il giudizio di merito. Tuttavia, il giudice deve basarsi su concreti elementi indiziari che rendano plausibile la configurazione del reato. Questo bilanciamento è essenziale per garantire una tutela efficace senza pregiudicare i diritti degli indagati. La Corte infatti afferma che: “il giudice, nel valutare il fumus commissi delieti, presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali (Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, Balint, Rv. 286366 – 01)”.
Inoltre, la sentenza in commento, nel richiamare i precedenti giurisprudenziali secondo cui integra il fumus del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti la condotta di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione di opere suscettibili di fruire dell’agevolazione fiscale del c.d. superbonus mediante la sua cessione o lo sconto in fattura, effettui la fatturazione “in acconto” di spese relative ad opere non ultimate o non certificate, ha riaffermato che “le spese per poter essere detratte con i vari bonus devono essere fatturate e pagate durante il periodo di vigenza dei bonus stessi e che il fatto che il beneficio fiscale sia condizionato all’effettiva esecuzione e completamento dei lavori dei lavori – da effettuare nel rispetto della normativa non elide la rilevanza penale della falsa fatturazione funzionale alla creazione del credito inesistente“.
Nel caso in esame, pur in assenza delle querele degli istituti di credito che hanno monetizzato i crediti inesistenti (con conseguente improcedibilità dei reati di truffa ai danni delle banche), i giudici hanno comunque affermato che: “è stato dimostrato, con motivazione persuasiva ed esaustiva, il fumus dei reati di falsa fatturazione, indebita compensazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, il che legittima l’applicazione del vincolo cautelare contestato”
Tutto ciò premesso, la Corte ha ritenuto quindi sussistente tanto il concreto sospetto di commissione del delitto, necessario per l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, quanto la pertinenzialità della cosa al reato per il sequestro preventivo impeditivo. E questo in quanto era stato rilevato che i cantieri edili fossero ancora aperti, situazione che, tanto per il PM quanto per i giudici, rischiava di aggravare le conseguenze dei reati e favorire la consumazione di altri.
Ritenuti sussistenti i rispettivi presupposti, secondo la Corte nulla osta all’applicazione di entrambi i vincoli dal momento che i due tipi di sequestri si differenziano sia per natura che per finalità.
La sentenza in commento evidenzia, ancora una volta, come sia cruciale una rigorosa e accurata valutazione della sussistenza dei requisiti applicativi del sequestro ex art. 321 c.p.p. Valutazione, quest’ultima, essenziale per garantire che l’intervento cautelare, soprattutto se propedeutico alla confisca, non si trasformi in un mezzo surrettizio di sanzione anticipata.
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[1] Si ricorda, inoltre, che il tema di motivazione del decreto, con sentenza n. 129 del 24 giugno 2021, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui, in tema di sequestro preventivo c.d. impeditivo, il principio di proporzionalità impone al giudice cautelare di motivare sull’impossibilità di fronteggiare il pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, ovvero di agevolazione della commissione di altri reati ricorrendo a misure cautelari meno invasive, oppure limitando l’oggetto del sequestro o il vincolo posto dallo stesso, in termini tali da ridurne l’incidenza sui diritti del destinatario della misura reale (Cass. pen., sez. V, 22 marzo 2021, n. 17586; Cass. pen., sez. II, 28 maggio 2019, n. 29687).
[2] In tema di truffe da superbonus, è stato affermato che integra il fumus del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti la condotta di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione di opere suscettibili di fruire dell’agevolazione fiscale del cd. “superbonus 110%” mediante la sua cessione o lo “sconto in fattura” ex art. 121 D.L. 19 maggio 2020, n. 34, effettui la fatturazione “in acconto” di spese relative a opere non ultimate o non certificate, posto che l’emissione di tali fatture mira a simulare l’esistenza di spese in concreto non ancora sopportate e a creare fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione (Cass. pen., Sez. III, n. 42012/2022).