24/04/2025

1. Le conclusioni depositate il 6 febbraio 2022 dall’Avvocato Generale Rantos nella causa C-423/23, Secab, riaccendono i riflettori su una vicenda – la controversa compatibilità con il diritto unionale dell’art. 15-bis D.L. n. 4/2022 – destinata ad avere effetti di sicuro rilievo per l’intero settore delle energie rinnovabili.

Come si ricorderà, con ordinanza n. 1744/2023 del 7 luglio 2023, il TAR Lombardia ha sottoposto alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti pregiudiziali:

“se l’art. 5 par 4 della Direttiva UE 2019/944, i considerando nn. 3 e 12 della Direttiva UE 2018/2001, i considerando nn. 27, 28, 29, 39, l’art. 6 par. 1, l’art. 8 par. 2 del Regolamento n. 2022/1854/UE, ostano a una disciplina nazionale che individui un tetto sui ricavi di mercato ottenuti dalla vendita di energia elettrica con le modalità previste dall’articolo 15 bis del D.L. 27.1.2022 n. 4, che non garantisca ai produttori di mantenere il 10% dei ricavi al di sopra dello stesso tetto”;

“se l’art. 5 par 4 della Direttiva UE 2019/944, i considerando nn. 2, 3 e 12 della Direttiva UE 2018/2001, i considerando nn. 27, 28, 29, 39, l’art. 6 par. 1, l’art. 8 par. 2 lett b) e c) del Regolamento n. 2022/1854/UE, ostano a una disciplina nazionale che individui un tetto sui ricavi di mercato ottenuti dalla vendita di energia elettrica con le modalità previste dall’articolo 15 bis del D.L. 27.1.2022 n. 4, che non preservi ed incentivi gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili”;

“se il considerando n. 3 della Direttiva UE 2018/2001, i considerando nn. 27 e 41, l’art. 7 par. 1, lett. h, i e j, l’art. 8 par. 1 lett. a) e d) e par. 2 del Regolamento n. 2022/1854/UE, ostano a una disciplina nazionale che individui un tetto sui ricavi di mercato ottenuti dalla vendita di energia elettrica con le modalità previste dall’articolo 15 bis del D.L. 27.1.2022 n. 4, che non preveda alcun tetto specifico ai ricavi ottenuti dalla vendita di energia prodotta a partire da carbon fossile, né una disciplina differenziata in relazione alle diverse fonti di produzione”.

Alla luce delle considerazioni espresse dall’Avvocato Generale Rantos, sembrerebbe verosimile ritenere che, ad esito del giudizio C-423/23, Secab, la Corte di Giustizia riconosca la “tendenziale” compatibilità tra la normativa interna e quella unionale, demandando al giudice nazionale una verifica in relazione alla concreta incidenza del meccanismo previsto dall’art. 15-bis D.L. n. 4/2022 sul pieno ed effettivo recupero degli investimenti sostenuti nel comparto delle energie rinnovabili.

2. Una pronuncia nel senso sopra indicato, seppur deludente sotto alcuni profili, lascerebbe in ogni caso impregiudicata la possibilità, per i soggetti incisi dall’applicazione dell’art. 15-bis D.L. n. 4/2022, di coltivare e/o promuovere appositi giudizi al fine di dimostrare l’illegittimità della “forzosa” compensazione operata dal GSE e l’eventuale e concreto pregiudizio subito per effetto della coattiva decurtazione dei prezzi dell’energia elettrica ceduta sul mercato dal 1° febbraio 2022 al 30 giugno 2023.

Resterebbero, inoltre, sul tappeto ulteriori profili di criticità della misura qui esaminata, che esulano dal perimetro delle questioni sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia e che potrebbero nondimeno condurre ad una definitiva “caducazione” delle previsioni contenute nell’art. 15-bis D.L. n. 4/2022.

Tra i vari temi, è in particolare estremamente significativo osservare che la Corte Costituzionale belga, con ordinanza del 2 luglio 2024 (causa C-467/24, 2Valorise Ham), ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità con l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (c.d. “Carta di Nizza”) del tetto sui ricavi di 180 €/MWh previsto dall’art. 6 del Regolamento 2022/1854/UE, dal momento che tale misura

“… stabilendo che i ricavi di mercato dei produttori di energia elettrica indicati all’articolo 7, paragrafo 1, dello stesso regolamento vengono limitati a un «massimo» di euro/MWh 180, implica che l’eccedenza di tali ricavi sia assoggettata a un’aliquota d’imposta pari al 100 %”.

Trattandosi di un meccanismo del tutto analogo (semmai, più “generoso”) rispetto a quello attuato in ambito domestico con l’art. 15-bis D.L. n. 4/2022, v’è da chiedersi se un dubbio di compatibilità con l’art. 17 della Carta di Nizza non si ponga anche – e si potrebbe dire, a fortiori – con riferimento al meccanismo di compensazione a due vie, quale misura che:

  • comporta un onere estremamente gravoso per le imprese, che si risolve in un “tetto” ai ricavi di mercato compreso tra 56 €/MWh e 75 €/MWh;
  • determina una discriminazione a danno di un determinato settore economico (ed in particolare, opera solo per i produttori di energia rinnovabile da fonte fotovoltaica, solare, idroelettrica, geotermoelettrica ed eolica);
  • si risolve in un prelievo retroattivo e con effetti sostanzialmente “confiscatori”.

3. Anche alla luce di tali profili, è senz’altro impellente l’esigenza di un pronunciamento che ponga fine al contrasto giurisprudenziale esistente in materia di “compensazione a due vie”.

A fonte di un orientamento di merito (per tutte, CGT I grado Roma, sentenza n. 30/2024; CGT II grado Lazio, sentenza n. 3875/2024) secondo cui la misura prevista dall’art. 15-bis rientrerebbe “tra gli interventi autoritativi che conformano l’intero rapporto nell’ottica di un complessivo riequilibrio, alla stregua di una nuova valutazione di tutti gli interessi in gioco e non tra quelli, anch’essi espressione di potere normativo od amministrativo, che incidendo soltanto su una delle prestazioni, decurtano il patrimonio di una sola delle parti, determinando un corrispondente concorso alle pubbliche spese” e, come tale, non avrebbe natura “tributaria”, si registrano, infatti, opposte e più recenti pronunce che riconoscono apertis verbis la giurisdizione del giudice tributario in relazione al meccanismo di compensazione a due vie (si veda l’articolo pubblicato su questo sito a commento dell’ordinanza 2 febbraio 2024, n. 355 della CGT I grado Roma).

Su questo secondo crinale interpretativo si pongono due recenti pronunce della CGT II grado Lazio (ordinanza n. 7916/2024 e n. 501/2025), che riconoscono la natura tributaria della compensazione a due vie, in ragione del fatto che

“il pagamento degli importi richiesti dal G.S.E., sulla base delle fatture emesse ai sensi dell’art. 15-bis, trae origine da un fatto individuato direttamente dalla legge e non da un titolo contrattuale o da una fonte negoziale ed i soggetti interessati sono tenuti a pagare gli importi così determinati anche in assenza di un loro consenso”.

Quanto alla giurisprudenza amministrativa sul tema, le pronunce dei TAR che hanno incidentalmente esaminato la questione qui di rilievo non offrono argomentazioni decisive a sostegno dell’una o dell’altra impostazione.

L’unica affermazione di un certo interesse si ricava, infatti, dalla sentenza n. 356/2023 del TAR Lombardia, avente ad oggetto l’impugnazione proposta avverso la delibera ARERA di attuazione del meccanismo ex art. 15-bis. In replica all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal GSE per difetto di giurisdizione ed “in considerazione della natura impositiva degli atti impugnati”, il TAR ha infatti osservato:

2. L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla G.S.E. s.p.a., sulla quale è stato stimolato il contraddittorio orale tra le parti, è infondata.

2.1. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la giurisdizione si individua in base al petitum sostanziale, ossia in base alla natura della situazione soggettiva dedotta in giudizio ed alla tutela ad essa offerta dall’ordinamento, a prescindere dalla prospettazione fornitane dalle parti (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 7 marzo 2018 n. 5399).

2.2. La coesistenza di una pluralità di tutele, azionabili dinanzi a giudici appartenenti a diversi plessi giurisdizionali, determina – in applicazione dell’ordinario criterio di riparto – la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie aventi ad oggetto <<un atto amministrativo a monte, adottato nell’esercizio di un potere discrezionale>>, mentre spetta al giudice ordinario o al giudice tributario la giurisdizione sulle controversie che investono <<l’atto conclusivo a valle, quali, ad esempio, una sanzione o una richiesta di pagamento quantificata sulla scorta dei criteri anteriormente fissati dall’atto amministrativo>> (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 24 gennaio 2022 n. 1995).

2.3. La società ricorrente ha domandato l’annullamento della deliberazione con la quale l’ARERA ha individuato, in via generale ed astratta, le modalità di attuazione del predetto meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia elettrica, introdotto da una fonte primaria sospettata di incompatibilità con il diritto euro-unitario e con alcuni principi costituzionali.

2.4. Sono pertanto tutelabili dinanzi al giudice amministrativo gli atti amministrativi generali, espressivi di un potere regolatorio, con i quali vengono definiti, in attuazione di una norma di legge, i criteri ed i presupposti comuni per l’adozione degli atti impositivi ed a fronte dei quali si stagliano posizioni di interesse legittimo dei destinatari, solo astrattamente individuati dalla fonte primaria (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 18 aprile 2016 n. 7665; Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III ter, 3 dicembre 2021 n. 12519).”

Ad avviso del TAR Milano, dunque, il potenziale “conflitto” tra giudice amministrativo e giudice tributario in materia di compensazione a due vie troverebbe opportuna composizione alla luce della tradizionale distinzione tra “atti amministrativi generali” (necessariamente rientranti nella cognizione del giudice amministrativo) e “atti conclusivi” adottati a valle (per i quali sussiste la potestà giurisdizionale in capo, a seconda dei casi, del giudice ordinario o del giudice tributario).

Su questa linea di demarcazione ed assumendo che il meccanismo di compensazione a due via abbia natura tributaria (per le considerazioni espresse in precedente articolo pubblicato su questo sito), sembrerebbe giocoforza concludere che le pretese avanzate dal GSE nei confronti dei produttori di energia rinnovabile in attuazione dell’art. 15-bis e delle conseguenti deliberazioni ARERA debbano essere contestate avanti al giudice tributario.

4. La conclusione di cui sopra non è ostacolata dal peculiare “strumento” (a seconda dei casi, “fatture” o “note di credito”) adottato dal GSE per l’esazione delle imposte dovute ai sensi dell’art. 15-bis.

Né un limite può essere ravvisato nel catalogo degli atti impugnabili di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, pacifico essendo che l’elencazione contenuta nella menzionata disposizione è ispirata ad un principio di “tipicità funzionale”, suscettibile di ricomprendere tutti gli atti produttivi di effetti equivalenti a quelli dei provvedimenti espressamente indicati.

Già da tempo e, tra le altre, con sentenza n. 17010/2012, la Corte di Cassazione ha invero riconosciuto che l’art. 19 cit. costituisce norma

“suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della PA (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001”

con la conseguenza che deve sempre ammettersi la possibilità

“di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”.

In linea con tale indirizzo interpretativo, la SC ha ad esempio riconosciuto la possibilità di ricomprendere nel perimetro degli atti impugnabili di cui all’art. 19 cit. le “fatture” emesse per il pagamento della TIA/TARSU (v. Cass. n. 17526/2007; Cass. n. 14675/2016). Nel medesimo senso è orientata la giurisprudenza di merito, laddove ammette la possibile impugnazione avanti al giudice tributario delle bollette emesse da parte di un fornitore energetico per la riscossione del canone RAI; ciò, come ricorda tra le altre la sentenza n. 241/2020 della CTR Piemonte, “in considerazione della valenza tributaria della pretesa in esame, ancorché veicolata attraverso atti di non stretta collocazione erariale in quanto emessi da enti estranei alla Pubblica Amministrazione”.

Se si ammette allora che:

  • il meccanismo di compensazione a due vie costituisce un “tributo”;
  • le società destinatarie del prelievo non sono altrimenti notiziate dell’esistenza e consistenza della pretesa tributaria, se non sulla base delle “fatture” o “note di credito” emesse dal GSE;

è giocoforza concludere che l’unico (ed anche il primo) “atto” che consente al contribuente di conoscere dell’obbligazione tributaria su di esso gravante ai sensi dell’art. 15-bis sia proprio la “fattura” o “nota di credito” emessa dal GSE; documento che, proprio in quanto tale e secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, deve ritenersi passibile di impugnazione avanti al giudice tributario.

Ti può interessare anche: