L’Iva nei rapporti tra il depositario ed il depositante di prodotti soggetti ad accisa
Cass. Civ., sez. V, sentenza n. 24015 del 3 ottobre 2018
Una sentenza della Cassazione (n. 24015/2018) si occupa, purtroppo con superficialità, dell’applicazione dell’IVA nei rapporti tra depositante e depositario di prodotti soggetti ad accisa, stabilendo che l’addebito del depositario al depositante di un importo corrispondente all’accisa non è soggetto ad IVA, in quanto si tratterebbe di somma dovuta a titolo di rimborso di un’anticipazione fatta in nome e per conto della controparte (il depositante).
Questa sentenza è stata oggetto solo di brevi commenti sulle pubblicazioni di settore, ma merita alcune più approfondite considerazioni partendo, naturalmente, dall’esame del fatto. Preciso, innanzitutto, che essa ha ad oggetto l’accisa sui prodotti alcolici, ma affronta temi di carattere generale, riferibili anche alle accise sui prodotti energetici.
Una società aveva stipulato con un’altra società, titolare di un deposito fiscale autorizzato, un contratto di deposito. Su ordine del depositante, il prodotto veniva estratto dal deposito per essere inviato al depositante stesso per la lavorazione oppure a terzi e, in relazione all’estrazione, il depositario provvedeva al pagamento dell’accisa. Successivamente il depositario emetteva fatture soggette ad IVA nei confronti del depositante/proprietario per il recupero dell’accisa, mentre quest’ultimo fatturava la merce ai propri clienti al netto dell’accisa stessa.
In relazione a tale situazione la Cassazione, confermando l’accertamento fiscale, ha stabilito che:
- sull’accisa non addebitata ai propri clienti dal proprietario della merce è dovuta l’IVA;
- l’ammontare dell’accisa addebitato dal depositario al depositante non è soggetto ad IVA.
A mio avviso, la soluzione corretta avrebbe dovuto essere opposta, su ambedue i punti.
Sul primo tema, la Corte si dilunga sulla normativa e giurisprudenza Ue e interne che richiedono l’assoggettamento ad IVA delle somme addebitate a titolo di rivalsa dell’accisa senza porsi affatto il problema – decisivo, stante la fattispecie sottoposta al suo esame – se debba essere assoggettata ad IVA l’accisa legittimamente (dato che la rivalsa è solo facoltativa) non addebitata al cliente. Problema che è stato risolto in modo corretto da una successiva sentenza della Cassazione (n. 26145/2019) già commentata in due occasioni su questo sito (la sentenza è stata oggetto di un mio precedente commento e di altro commento), e cioè nel senso che non è dovuta l’IVA sull’accisa accertata che non è stata oggetto di rivalsa.
Sul secondo tema, la Corte osserva che il titolare del deposito fiscale
“si è limitato ad anticipare, per conto della [proprietaria/depositante] gli importi relativi all’accisa, i quali, per quanto sopra detto, dovevano essere fatturati direttamente dalla contribuente ai clienti finali”.
Si applicherebbe dunque l’art. 15, n. 3 d.p.r. n. 633/1972, per il quale non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA le somme anticipate in nome e per conto della controparte.
Anche qui l’errore “a cascata” in cui incorre la Corte è evidente. Il titolare del deposito fiscale non è affatto un soggetto che “anticipa” l’accisa in nome e per conto del proprietario della merce, ma è egli stesso il soggetto passivo dell’imposta con riguardo alla merce estratta dal deposito, ai sensi dell’art. 2, comma 4, lett. a) d. lgs. n. 504/1995. Egli corrisponde dunque l’accisa in virtù di un’obbligazione propria, non altrui; il proprietario della merce può, eventualmente, essere coobbligato in solido ove abbia garantito il pagamento. Si tratta di un concetto del tutto pacifico. Si vedano in proposito, tra le altre, Cass. ord. 29203/2019 (oggetto di commento su questo sito) che espressamente individua i depositi fiscali quali soggetti obbligati, in primis, al pagamento dell’accisa, nonché nella prassi amministrativa la ris. 1/D/2019 dell’Ag. Dogane per la quale
“l’esercente il deposito fiscale …è il soggetto obbligato d’accisa .. e rimane responsabile degli adempimenti derivanti dall’esercizio dell’impianto operante in regime sospensivo, qualunque sia la tipologia di attività in esso svolta, incluso il pagamento dell’accisa dovuta sui prodotti estratti ed immessi in consumo.”
A ciò si aggiunga che nel caso in cui il proprietario si renda garante del pagamento dell’accisa, la corretta configurazione dei rapporti tra i due soggetti è tale per cui
“il proprietario … effettua il pagamento del tributo in proprio nome e per conto del depositario autorizzato, il quale permane soggetto passivo dell’obbligazione tributaria” (così la ris. cit.).
In questo caso (che comunque non risulta essere quello sottoposto alla Corte) in cui vi sono due soggetti coobbligati solidali al pagamento dell’accisa è il proprietario che, in virtù della garanzia prestata, effettua il pagamento per conto del depositario, e giammai viceversa.
La conseguenza, ai fini IVA, della corretta ricostruzione della fattispecie e in particolare del fatto che la legge individua nel depositario il soggetto passivo del tributo è dunque che la somma pari all’accisa che quest’ultimo addebiti al depositante rientra nel campo di applicazione dell’IVA in quanto non è oggetto di alcuna norma di esclusione e va correttamente qualificata come (parte del) corrispettivo dovuto al depositario per la sua attività.
Due a zero per il contribuente, ma a fronte della sentenza negativa sarà ben magra consolazione.