Recepita l’esclusione delle piattaforme petrolifere dal regime di non imponibilità IVA
Art. 32 bis del D.L. n. 124/2019, che modifica l'art. 8-bis del d.P.R. n. 633/1972
Con l’art. 32 bis del D.L. n. 124/2019, introdotto in sede di conversione ed in vigore dal 25 dicembre 2019, il legislatore ha recepito il principio giurisprudenziale unionale sancito nella sentenza della Corte di Giustizia (causa C-291/18 dello scorso 20 giugno), avente ad oggetto l’esclusione, per le piattaforme petrolifere off shore, del regime iva di non imponibilità di cui all’art. 148 lett. A) e C) della Dir. 2006/112/CE.
Si ricorderà che la detta sentenza (già commentata su questo sito) aveva sancito il principio secondo cui l’espressione “navi adibite alla navigazione in alto mare” contenuta nell’art. 148 cit. non poteva applicarsi alla cessione delle piattaforme, perché questi beni, lungi dall’essere adibiti alla navigazione in alto mare, erano al contrario destinati ad essere utilizzati, in misura preponderante, in posizione immobile, proprio al fine di sfruttare i giacimenti di idrocarburi in mare.
La normativa nazionale, che ha recepito l’art. 148 della Direttiva, è contenuta come noto nell’art. 8 bis del D.P.R. n. 633/72, integrato dalla disposizione dell’art. 2, comma 2, L. n. 28/97 di recepimento della Dir. N. 95/7/CE; quest’ultima disposizione includeva nel concetto di navi destinate alla navigazione in alto mare (e quindi, nel previsto regime di non imponibilità IVA) anche altri beni, tra cui i galleggianti antincendio, le gru galleggianti, i pontoni di sollevamento, e, fra tutti, anche
“le piattaforme e i galleggianti mobili o sommergibili destinati all’attività di ricerca e di sfruttamento del suo marino”.
Ebbene, con l’introduzione dell’art. 32 bis citato in epigrafe il legislatore ha proprio espunto dal testo dell’art. 2 comma 4 cit. il riferimento alle (sole) piattaforme, disponendo espressamente che
“le precedenti disposizioni non si applicano alle piattaforme ancorate a terra con struttura emersa destinata alla coltivazione di idrocarburi o di ausilio alla prospezione, alla ricerca, alla coltivazione e allo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi in mare”.
Ora, l’obiettivo prefissato dal legislatore, ossia il dichiarato intento di adeguamento della normativa domestica ai principi unionali, sembra essere stato solo in parte raggiunto, restando tutti gli altri beni elencati nel citato art. 2 esclusi dalla recente previsione normativa. Se ben si intende la ratio dell’art. 148 della Direttiva UE, che la Corte di Giustizia intende rigidamente far applicare, la non applicazione dell’IVA è prevista in favore del trasporto internazionale per mare dei natanti, e della correlata navigazione in alto mare. Navigazione che, al pari delle piattaforme (ora normativamente escluse dall’ambito applicativo della disposizione), sembra restare preclusa anche per gli altri beni assimilati alle piattaforme petrolifere che difficilmente possono “navigare”.
Nonostante il recepimento legislativo in commento sembri quindi essere parziale, gli operatori economici non dovrebbero per ora venire penalizzati. Infatti, l’ipotizzato contrasto con la normativa europea, così come recentemente interpretata dalla Corte UE, non può riverberare effetti diretti sugli operatori nazionali, vigente il divieto di applicazione diretta in danno dei cittadini della normativa UE non correttamente recepita da uno Stato membro.
In altri termini, il regime di imponibilità IVA in cui ricadono, in virtù della recente novella normativa di cui sopra, le piattaforme petrolifere off shore, non potrà essere estensivamente applicato alle altre fattispecie previste nell’art. 2, comma 2, L. n. 28/97.